Tuesday, February 24, 2015

Una corte o una coorte?


[pubblicato in versione più breve da Osservatorio Balcani e Caucaso, 24/02/2015, http://www.balcanicaucaso.org/aree/Russia/Russia-lo-stato-profondo-159093]

Il Cremlino è sempre stato una fonte inesauribile di speculazioni. Di chi si circonda il presidente, perché, cosa si può dedurre dal protocollo e dai rituali sociali che traspaiono in pubblico, chi scende e chi sale e che cosa ci si deve aspettare da questi cambiamenti?

Il dibattito, in breve
Dall’inizio del conflitto in Ucraina la questione di chi ha in mano il processo decisionale è stata dibattuta intensamente. La diagnosi più condivisa, da osservatori dentro e fuori la Russia è che il numero di chi ha diretto accesso al presidente si sia ristretto e abbia assunto una maggiore compattezza negli orientamenti espressi.
Parla di un “Collettivo Putin in riduzione” Radio Free/Europe in un podcast di The Power Vertical, (https://player.fm/series/the-power-vertical-radio-free-europe-radio-liberty/podcast-the-shrinking-collective-putin-january-30-2015) , di uno scivolamento su posizioni più radicali The Institute for Modern Russia (http://www.imrussia.org/en/analysis/world/2041-are-the-kremlin-hardl), mentre osservatori russi si sono concentrati con maggiore attenzione sullo strumento istituzionale che li raccoglierebbe: il Consiglio di Sicurezza Nazionale. A parte il dibattito legato alla contingenza, un gran numero di studi si sono concentrati alla ricostruzione dei processi decisionali al Cremlino, alla sua catena di comando, alle sue caratteristiche ed efficacia (fra gli altri si segnala State Building in Putin's Russia: Policing and Coercion after Communism http://www.cambridge.org/us/academic/subjects/politics-international-relations/comparative-politics/state-building-putins-russia-policing-and-coercion-after-communism, non aggiornato all’ultimo mandato, ma molto ben documentato).
La metodologia di analisi varia da contributo a contributo, e si va da ricostruzioni giornalistiche espressione di posizioni di esperti e giornalisti a studi statistici frutto di ricerche più approfondite. Ma la diagnosi pare condivisa: fin dal secondo mandato di Putin la corte del Cremlino si stava assestando su una maggiore omogeneità interna e – a cascata – sull’intero quadro istituzionale del paese. La corte mista di tanti boiari con le proprie agende e la varietà della propria origine diventa sempre di più una coorte.   

Il mito dell’Uomo Forte
Il mito dell’Uomo Forte serve prima di tutto all’uomo forte. Il messaggio è che solo l’uomo forte può dirigere lo Stato e la sua saggezza e la sua autorevolezza garantiscono il buon governo. Senza di lui solo il caos. Questa idea affascina molti elettori, un po’ ovunque peraltro, che mirano il leader sgridare come scolaretti imprenditori (https://www.youtube.com/watch?v=UMlsbB33QSc), ministri (https://www.youtube.com/watch?v=Mu1Be9W3h0I  ) o chiunque sgarri per volontà o incapacità. Per dirla con W. E. Halal è un tipo di leadership autocratica, tipica di società primitive e idonea a fasi di guerra, e che si oppone a forme di leadership quali quelle partecipativa o di autonomia, in cui il ruolo del leader è di incoraggiare uno staff verso una missione, non con il controllo ma con la condivisione di responsabilità e di potere decisionale, e che sono più tipiche di società evoluta e sofisticata (http://home.gwu.edu/~halal/Articles/Leaders_Who_Listen.pdf ). Certo la prima attrae di più circoli conservatori, cultori del controllo come principale strumento di stabilità sociale. Il che porta direttamente al profilo professionale che caratterizza l’attuale leadership russa.

I “suoi uomini”
Il mito dell’Uomo Forte è anche appunto un mito, soprattutto quando si parla di sistemi complessi come gli stati, non di gruppi umani di poche decine di persone. Nello Stato chi riveste la massima carica, de jure o de facto, ha sempre un gruppo di persone intorno con i quali crea rapporti di interdipendenza, non esclusivamente di comando, i “suoi uomini”. Nel caso della Russia l’espressione è particolarmente azzeccata, perché si tratta di un gruppo ristretto di uomini con un passato o un presente in divisa. Unica eccezione, per chi estende il nocciolo duro a tutti i membri del Consiglio di Sicurezza, Valentina Matviyienko, di origini ucraine, che presiede il Consiglio Federale, e quindi ha un seggio permanente all’interno del Consiglio di Sicurezza.
Ma pur nella rilevanza quest’organismo forse non è proiezione esatta della coorte putiniana, per qualche nome di troppo, per esempio il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov, e qualche mancanza troppo illustre, come Igor Sechin, a capo di Rosneft.

L’insieme di intersezione di vari metodi per identificare il gruppo di governo si restringe a pochi nomi, molti dei quali risiedono nei così detti ministeri forti: gli Interni, la Sicurezza Federale (FSB), la Procura Generale (http://www.britannica.com/EBchecked/topic/477847/procuracy ), e – forse appena più periferico – la Difesa, i famosi Siloviki. Quindi l’elenco a livello apicale si riduce a pochi nomi:
- Nikolaj Patrushev, ex capo della FSB, attualmente presiede il Consiglio di Sicurezza nazionale (CSN). Nel KGB di Pietroburgo dove si è formato Putin (anni 1975-1984). Ha rilasciato interviste da cui traspare la sua linea dura in tema di autonomia della società civile, e in cui si è espresso a favore dell’utilizzo del nucleare anche in conflitti regionali. A lui è legato un altro silovik, Rashid Nurgaliev, KGB della Carelia, ex Ministro degli Interni, ora suo vice. E’ ancora del suo entourage Boris Gryzlov, alla Duma per Russia Unita e nel CSN. Il figlio di Patrushev ha invece ottenuto il posto di Advisor di Sechin.
- Vladimir Ustinov, a cui si arriva anche via Sechin, visto che sono consuoceri. Ex procuratore generale, Ministro della Giustizia, e poi Plenipotenziaro per il Distretto Federale Meridionale. Conosciuto da Putin nel suo primo periodo moscovita, quello che ha preceduto i suoi incarichi federali (1996-1999).
- Sergey Ivanov, sempre del KGB di Pietroburgo, a capo dell’amministrazione presidenziale;
Ci sono i due Ministri, degli Interni Vladimir Kolokolcev, e della Difesa Sergey Shoigu, che non rientrano nel gruppo delle conoscenze storiche di Putin, ma che per incarico e per divisa, nel gruppo dei siloviki. Come è una aggiunta relativamente recente, Aleksander Bortnikov, il nuovo capo delle FSB, pure KGB/FSB di Pietroburgo dal 1975 al 2004, ma più vicino a Medvedev, originariamente.
Oltre ai siloviki, gli uomini in [ex]divisa della politica, ci sono i “silovarchi” (http://www.sscnet.ucla.edu/polisci/faculty/treisman/Papers/siloct06.pdf), i siloviki-oligarchi. Primo fra tutti Igor Sechin, del così detto KGB Angola, dove aveva prestato servizio. Ma l’incontro con Putin e’ negli anni di Pietroburgo ’91-’96. Sempre nel settore dell’energia, ma a Transneft, c’è Nikolaj Tokarev, collega KGB negli anni della Germania est, come Sergey Chermezov, CEO di RosTec.
Ci sono poi altri nel mondo del privato o delle aziende statali o partecipate molto vicini al presidente: Jakushin, il direttore delle Ferrovie e via dicendo, ma l’elenco, che dovrebbe allargarsi agli influenti consiglieri presidenziali, si farebbe forse noioso.

Il patrimonialismo e i suoi rischi, in salsa russa
Un elenco ridotto all’osso esclude necessariamente i vari Batrykin, Cherkesov (compagni di scuola di Putin, poi anche entrati nei ministeri forti), l’eterno Viktor Ivanov, del KGB di San Pietroburgo, i Belyaninov o Zolotov, ripresi dagli anni del KGB nella Germania dell’est (1985-1990), o negli anni nel governo di Pitroburgo, 1991-1996... Vari pezzi di vita putiniana assurti a incarichi federali, con sorti e fortuna differenti.
Il quadro che emerge è comunque chiaro: una logica di fedeltà cementata da legami personali spesso di lunga data. In questo, come in altri aspetti la Russia pare un paese con una forte connotazione patrimonialistica in cui la cosa pubblica viene amministrata come un bene privato, e in cui si raggiunge un incarico non tanto per cosa che si conosce, ma per chi si conosce. Un fenomeno certo non solo russo, ma che per il profilo di chi governa ha avuto un effetto piuttosto particolare sul paese: dal vertice agli organi di potere regionali ha preso forma una “militocrazia” (http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.2747/1060-586X.19.4.289#.VN-YVuaG_gw ). Per citare un esempio, dei sette distretti federali tutti hanno avuto a capo almeno un “uomo in divisa”, che fosse militare, KGB, Procura. Il che ha fatto sì che gli incaricati –a loro volta- aumentassero il numero delle divise nei ranghi dell’amministrazione distrettuale.
Quando in riferimento al putinismo si parla di specificità culturali russe, forse si sottovaluta come in qualsiasi paese un sistema istituzionale di questo tipo, in cui che il controllo civile sul braccio armato appare rovesciato a favore di quest’ultimo, porterebbe a politiche analoghe a quelle russe attuali. Se cioè questioni sociali, politiche, economiche, di relazioni internazionali non sarebbero analizzate secondo il prisma della sicurezza e della risposta eventualmente armata, con una militarizzazione del dibattito pubblico e uno squilibrio verso la repressione e la coercizione.

Un altro rischio del patrimonialismo è che la coorte, o chi la presiede, si accanisca a investire su un cavallo perdente, perché lo ritiene “un suo uomo”, nonostante lo scarso consenso popolare, magari attestato dalle urne, o la dubbia fama. Il caso Janukovich è fin troppo chiaro, delfino caduto in rovina e riparato in Russia, ma mai più ricevuto al Cremlino, nemmeno quando lo si riconosceva legittimo presidente in esilio forzato.
Ma non solo Janukovich: in Abkhazia ci sono volute varie crisi per alla fine riuscire a installare Khadjimba, che pure aveva un passato elettorale molto debole, così come quello di Sergey Aksenov, attuale primo ministro della Crimea. Solo l’alternanza da Putin a Medvedev era riuscita a smuovere dalla sua poltrona l’altrettanto impopolare e nominato Zyazikov dall’Ingushezia.
Legata a doppio filo con Putin c’è poi l’anomalia nel sistema, Ramzan Kadyrov. Il giovanissimo (rispetto alla coorte dei più o meno sessantenni) e ambiziosissimo presidente della Cecenia che dà segno che il piccolo territorio non gli basti, che si senta sottodimensionato e in grado di conquistare spazi maggiori. E lo fa sullo spazio virtuale, nella sfera religiosa, e assicurandosi visibilità negli scenari internazionali, incluso il teatro ucraino, e proponendo – recentemente- i suoi uomini a protezione della difesa dello stato intero. Il profilo regionale cui i media locali garantiscono la maggiore copertura si dichiara sottomesso non all’ufficio della presidenza, ma personalmente a Putin.
Se ci fosse bisogno di ribadire i rischi del personalismo quando si esercita il potere.