Friday, May 18, 2018

Aprile 2018: da Sargsyan a Pashinyan, l'Armenia rivoluzionaria


L’Armenia non è il cuore geografico dell’Eurasia, ma da molti punti di vista rappresenta un ganglio geografico e geopolitico tale da rendere quanto vi sta accadendo in questi giorni un evento sui generis che merita di essere capito nelle sue implicazioni locali, regionali e internazionali. Si palesa una forza popolare antigovernativa e in grado di rovesciare un governo ai confini di Iran, Azerbaijan e Turchia. Paradossale? Forse. Comunque da seguire. E questo è il primo passo: da Sargsyan a “Nikol”.  

La Rivoluzione degli Armeni
Dal 13 aprile all’8 maggio: in questo lasso di tempo si è consumata la rivoluzione di velluto. Meno di un mese che ha letteralmente trasformato un paese: se il termine rivoluzione può essere ragionevolmente utilizzato per descrivere quanto accaduto è soprattutto per quanto accaduto nelle piazze. Una disobbedienza civile non violenta, vissuta con ironia, intelligenza, rigore, che ha trasformato la capitale e altre città in sit-in permanenti, blocchi del traffico, manifestazioni aperte a tutti. Nei crocevia della capitale, a bloccare macchine e autobus si sono visti pianoforti, teatri per bambini, mamme con i passeggini, gruppi di danze popolari armene, oltre agli studenti universitari, i primi a mobilitarsi seguiti da medici, dipendenti del settore IT – così importante nel paese –, e infine soldati e il clero. Un elettorato disposto sì a mobilitarsi, ma anche politicamente scettico ha risposto alla chiamata di una piccola coalizione di opposizione, la Yelk.
Il grimaldello della mobilitazione viene innescato proprio dalla sua eccellente vittima nel 2013: Serzh Sargsyan, allora presidente, dà il via a una riforma costituzionale che gli permette nel 2018, terminati i due mandati, di ereditarsi i poteri politici, divenendo Primo Ministro. Primo Ministro per soli sei giorni, costretto a cedere alla pressione di una piazza che invece di scemare per le centinaia di arresti si ingrossava giorno dopo giorno.

Il 23 aprile è la data che segna l’uscita di scena (ma dietro le quinte?) di Sargsyan, punta di diamante del Partito Repubblicano che controlla la maggioranza di governo dal 1998. Due decenni di Repubblicani, uno di Sargsyan, una presa sul potere che sembrava inscalfibile fino a inizio aprile. La data delle dimissioni va compresa alla luce del fatto che il 24 si sarebbe tenuta la rievocazione del Genocidio Armeno. Impossibile gestire Yerevan in quelle condizioni, con l’afflusso di quanti partecipano alla processione che dalla città si dirige alla stele commemorativa. E ancor di più con un esercito che perdeva pezzi a favore dei dimostranti.

Dimissioni che sono state seguite da un fuggi fuggi di pezzi di parlamento: i topi hanno cominciato ad abbandonare la barca che affonda. Membri di partiti di maggioranza e di opposizione nel parlamento che hanno cominciato a fare i conti con un elettorato mobilitato. I conti non sono stati difficili da fare: il carro su cui salire è quello della piazza dello Yelk. Si è spaccata la coalizione di governo ed è cominciato il “si salvi chi può” fra i vari titolari di incarichi pubblici, anche a livello di amministrazioni locali, mentre il Partito repubblicano cercava di serrare i ranghi.

Nel terremoto i Repubblicani hanno barcollato ma non hanno mollato, riuscendo a impedire che il capopopolo Nikol Pashinyan della Yelk divenisse Primo Ministro al primo voto, il 1 maggio. Il partito controlla 58 seggi su 105, per cui senza il suo endorsement non si esce da una crisi di governo. Ma il giorno seguente al voto l’Armenia era in stato di occupazione popolare: bloccati accessi internazionali, l’aeroporto, strade, autostrade, chiuse attività. Pashinyan si definisce ed è percepito come il “candidato del popolo”, quel popolo che ha seguito le dieci ore di seduta parlamentare del 1 maggio come fosse una partita dei mondiali. Un popolo appunto rivoluzionato. Il processo non più reversibile, e l’8 maggio Pashinyan è stato eletto Primo Ministro con anche voti repubblicani.

Per capire cosa c’è da aspettarsi dall’Armenia rivoluzionata conviene proprio iniziare dal suo neo-eletto Primo Ministro. Il “candidato del popolo” Nikol Pashinyan è stato il perno carismatico che ha portato alla Rivoluzione di Velluto. Non è un Masaniello dell’ultima ora: classe ’75 ha alle spalle una carriera da giornalista e una vita politica maturata fra i banchi dell’opposizione. Si muove con cautela in una realtà politica che conosce bene. Quanto sarà profondo il cambiamento che propone, che ha perorato per anni dai banchi dell’opposizione, lo si sta vedendo in questi giorni. Nei margini di una politica che fa i conti con problemi strutturali, veti incrociati e perni talmente arrugginiti che pare impossibile si possano mettere di nuovo in movimento. Ma appunto, di questo capitolo della storia armena si è appena all’introduzione.

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